Triangle of Sadness di Ruben Östlund. 

Triangle of  Sadness di  Ruben Östlund.

“Triangle of Sadness “, vincitore della Palma d’oro all’ultimo Festival di Cannes, riconferma il regista Robert   Östlund come un autore dialogante con la realtà, attraverso un taglio politico, critico e sarcastico, imbrigliando lo spettatore in atmosfere esilaranti e grottesche. Questa volta, lo sguardo del regista si riversa sul mondo della moda precipitandoci dentro un casting di modelli seminudi con al centro l’affascinante Carl ( Harris Dickinson)a cui un provocatorio giornalista chiede divertito: “Mostrami lo sguardo Balenciaga “.

Immediatamente l’espressione di tutti quei giovani diventa imbronciata e seriosa allineandosi all’esclusività della griffe. Sempre lo stesso giornalista rovescia la situazione con un’altra bizzarra esclamazione “All’improvviso sono vestito con qualcosa di meno costoso È H&M!”. Immediatamente i modelli elargiscono un sorriso scanzonato perché è una catena di moda con articoli a basso costo. Ma quel Carl così allineato ha un inestetismo nel volto, una ruga tra gli occhi chiamato il cosiddetto Triangolo della tristezza da cui il regista stesso ha tratto il bizzarro titolo del film. «Basterebbe un po’ di botox, caro», sussurra il direttore creativo a Carl mentre lo osserva sfilare. Nessuna ruga! Nessuna preoccupazione! Con questi prodromi inizia il surreale viaggio di Ostlung dentro il fashion insieme proprio a Carl e Yaya (Charlbi Dean) ; sono una coppia di emergenti e rampanti modelli che mercificano la loro bellezza a colpi selfie e like spaventati dal volubile mondo social e condizionati dal denaro che ha su di loro un potere divisivo. Chi dei due paga il conto nel ristorante lussuoso? Chi guadagna di più? Convenzioni sociali ed emancipazione femminile si confondono nella instabile relazione di Carl Yaya, che diventano strumenti meravigliosi veicolanti forti messaggi registici. Nel secondo capitolo sono stati invitati a partecipare ad una crociera di lusso, ma sono gli ultimi in quel moderno Titanic affollato da magnati, trafficanti di armi e astuti programmatori a caccia di belle ragazze. Il regista mette il piede sull’acceleratore dei registri grotteschi e ridicolizza questa fauna umana eternamente arrogante, arroccata in un sistema gerarchico assurdo totalmente estranea ai concetti egalitari. Thomas Smith (Woody Harrelson) è l’eccentrico capitano americano marxista che rigetta élite capitalista, preferendo vivere in un permanente stato di ubriachezza nella sua cabina mentre ascolta L’internazionale. E la nave va verso un destino ignoto, fino a che una inaspettata ed improvvisa tempesta seguita da un assalto dei pirati faranno colare a picco lo yacht. L’inabissamento è una lunghissima sequenza nella quale gli ospiti vomitano copiosamente contorcendosi nei loro liquami mentre il capitano ed un ironico magnate (Zlatko Buric )si lanciano proclami e graffianti invettive sui rispettivi sistemi politici. Tutto sembra perduto ma sopravvivono otto naufraghi scaraventati dalle correnti in un luogo deserto: la mattina seguente spiaggia una scialuppa con a bordo Abgail ( Dolly de Leon) una delle tante servienti che gelosamente conserva i viveri. La donna sa pescare ed accendere il fuoco e queste abilità la rendono dominante a confronti dei pigri ed incapaci i naufraghi erroneamente convinti di riaffermare nell’isola quell’assurda egemonia. “Lì inserviente”, “qui capitano dice Abgail a Paula (Vicky Berlin), la manager dello staff che cerca di ristabilire un vecchio ordine. “Tu capitano“, affermano in coro i naufraghi dopo aver ricevuto del cibo dalla donna. Il cerchio del film non si chiude con un inaspettato salvataggio, ma si riallaccia al concetto di mercificazione della bellezza, già presente nelle immagini per percepire più chiaramente come l’istinto di prevaricazione e la corruzione distruggono qualsiasi sistema sociale. Nessuna rivincita, ne riscatto sociale per Abigail, anzi, la donna assurta al rango di captano a causa di uno stato di necessità è pronta ad abbandonare qualunque principio morale pur di conservare l’agognata leadership. Il film si chiude con l’immagine di Abigail che afferra una pietra contro Yaya: il regista ci lascia riflettere sulle assurde dinamiche di potere, capaci di farci precipitare solo  in una guerra senza fine.

Paola Olivieri

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