LA PARANZA DEI BAMBINI
Regia di Claudio Giovannesi
Sei quindicenni sognano di comprare vestiti firmati e motorini nuovi. Formeranno una banda, correndo e saltando ogni ostacolo verso il miraggio del denaro facile, giocandosi per sempre il futuro. Non hanno paura né del carcere né della morte, in sella ai loro veloci scooter vanno alla conquista del Rione Sanità, a Napoli. Che succede in questa corsa verso il potere? Che posto ha la famiglia, e quale l’amore? Claudio Giovannesi, che ha firmato “La paranza dei bambini”, ispirato all’omonimo romanzo di Roberto Saviano, ha affrontato il tema evitando stereotipi. Perché i suoi occhi guardano altrove.
La scelta tra bene e male è cosa quasi impossibile per degli adolescenti. L’incoscienza di azioni capaci di assicurare favolose serate nelle discoteche di lusso, con bottiglie di champagne, è foriera di un presente apparentemente felice, bagnato di sacrifici amari.
I “nostri” hanno un passato scritto dai soprusi subiti, sono ragazzi di borgata senza punti di riferimento, per sopravvivere devono “fatigà” che significa chiudere con il mondo dei sogni. Il ricordo di “Ragazzi di vita” di Pasolini è vivo e pregnante di amarezza. Nicola e gli altri sono i nipoti di Riccetto, vivono inizialmente di espedienti esprimendosi sempre in dialetto, sapendo che il loro destino è altrove e tutto può finire con un bagno di sangue, magari dietro al vicolo di casa. E’ naturale per loro?
Non c’è da parte del regista alcuna lezione sociologica, solo la volontà di fotografare e trasmetterci il momento nel quale i giovani bruceranno le tappe, il loro punto di vista, “pedinandoli” proprio quando le emozioni attraverseranno i loro volti iconici. “Abbiamo scelto il punto di vista dei ragazzi, senza giudicarli, mostrando i loro sentimenti di adolescenti in relazione all’esperienza del crimine e all’ambizione del potere: la narrazione della parabola criminale è sempre in funzione del racconto delle loro emozioni, delle storie di amicizia e di amore che proprio a causa della vita criminale sono destinate a morire”, spiega il regista.
Le azioni criminose distruggono amore e amicizia. Chi ci addentra in questa quotidianità degradata è Nicola, la cui madre ha una lavanderia. Il ragazzo decide di entrare a far parte di una ‘famiglia’, cercando di realizzare un sogno di rinascita per il proprio quartiere. Dentro il suo presente ci sono tante contraddizioni: c’è il momento in cui tira di coca e quello in cui gioca con il fratellino, così come il paradossale desiderio di fare del bene con un codice di leggi tutto personale.
La magica serata nel palco del teatro San Carlo con la ragazza dei suoi sogni è un’emozione che si avvera, entrambi estasiati accarezzano il prezioso velluto rosso come fossero bambini. Ma questo romanticismo si incrocia paradossalmente con l’attività di riscossione del pizzo nei confronti dei negozianti del suo quartiere. Un’arma da fuoco in mano lo cambia ed il gioco si fa pesante: gli abitanti del Rione lo salutano ossequiosamente, ma è nella scena finale che i suoi occhi leggono il futuro.
Dice il regista a Giulio Sangiorgio in un’intervista su “Tv film”: “Il finale sembra non chiudersi, ma quel finale è proprio il punto del racconto: l’irreversibilità di una scelta incosciente, l’illusione di potere recuperare la spensieratezza, l’inevitabilità di una vita criminale”.
Paola Olivieri