“ROMA “ REGIA DI ALFONSO CUARÓN

“ROMA “ REGIA DI ALFONSO CUARÓN

In “Roma”, il regista  Alfonso Cuarón racconta il suo Messico. Sceglie un sentiero personale vibrante di nostalgia, che va a ritroso verso il suo patrimonio di ricordi, alcuni veri altri inventati, adagiati tra le vittorie e le molte sconfitte della vita.

Il film è ambientato nel 1971 a Città del Messico. “Roma” è il nome del quartiere alto-borghese dove viveva il regista, che incastona la sua infanzia cristallizzandola in un unverso senza tempo.  Già dalle prime immagini, appare la tata Cleo ( Yalitzan Aparicio), protagonista assoluta di questo viaggio nella memoria firmato regista. La donna, di origine Indios, lava il corridoio: l’acqua insaponata corre invadendo lo spazio e ritirandosi velocemente, i riflessi delle pozzanghere imprigionano frammenti di cielo in cui si intravede un aereo lontanissimo. Forse un simbolo fuga? E’ una chimera per la domestica. “Tutta la verità, in Roma, è rivelata dall’acqua” dice Guillermo del Toro, amico di Cuarón , in un twit del 14 gennaio 2019. “Roma” è, in effetti, un film “straripante”, dove l’elemento liquido è culla, ritorno e prologo di una nuova vita.  Anche in “Gravity”, altro capolavoro di Cuarón , la protagonista (un’astronauta che ha vagato nello spazio dentro una navicella cinese) si libererà sott’acqua, dopo un violento ammaraggio, riprendendo faticosamente a camminare verso una nuova vita.

Il regista, nel firmare la sceneggiatura, la sognante fotografia ed il montaggio (insieme ad Adam Gough) mette al centro di questo affresco la donna, che non indietreggia di fronte alle difficolta. Lasciandosi invadere dal dolore, si aggrappa ai valori fondanti attraversando le tempeste della vita ed amalgamandosi alle mutazioni. Appaiono nel film due figure femminili luminose: la tata Cleo e Sofie (madre del regista), dalle amicizie altolocate. Entrambe sono la proiezione dei due volti della società messicana, che il regista non tarderà a farci conoscere.

E’ proprio attraverso queste due donne che Cuarón si ricongiunge al nido materno, avvalendosi di un bianco e nero che fa immaginare un passato indimenticabile.

Cleo incarna la classe sociale tenuta ai margini: all’oscuro della vita della famiglia in cui lavora, percepisce però la conflittualità tra la padrona di casa Sofia (Marina de Tavira) ed il marito Antonio (Fernando Grediaga). Il suo silenzio è una forza capace di assorbire le paure e le frustrazioni dei piccoli che accudisce, che vivono l’assenza del padre con molti interrogativi. Sofie, invece, è una donna fragile che guarda con timore un futuro senza il marito.

Il rapporto tra Cleo e Sofie si rivelerà speciale, travalicando le differenze sociali per aprirsi sul terreno della solidarietà e del mutuo soccorso. Sofie sosterrà Cleo nella dura prova di una maternità mancata, mentre quest’ultima, senza perdere il suo slancio vitale, con generosità salverà dall’annegamento i figli di Sofie.  Splendida è l’immagine che ne segue: la tata sarà abbracciata da quei bambini strappati al mare proprio sulle rive dell’Oceano, segnando la nascita di una nuova famiglia. E’ questo amore a tenere uniti quei piccoli naufraghi, che torneranno felicemente a casa abbracciando la saggia nonna.

Se l’abbandono e il tradimento dei loro compagni è stato per le due donne devastante, non è comunque riuscito a spezzare il loro equilibrio interiore: i traumi si sono cicatrizzati con la forza della resilienza, capace di convogliare l’essere umano verso i nuovi capitoli di questa misteriosa esistenza.

L’amarcord di Cuarón suscita emozioni inconsuete, gli avvenimenti ruotano attorno alla grande casa su due piani piena di libri: un’isola felice circondata da una realtà complessa, attraversata da violenti cambiamenti politici che il regista intreccia con la vita di Cleo: in avanzato stato di gravidanza, rimarrà intrappolata in una rivolta studentesca che non le permetterà di raggiungere l’ospedale, perdendo suo figlio.

L’allestimento filmico ricorda perfettamente la dimora del regista che, a lavoro ultimato, colmo di emozione ha detto: “Non avevo previsto l’impatto che avrebbe avuto su di me e i miei famigliari: quando hanno visto il set hanno avuto la mia stessa reazione. Non solo avevamo ricreato l’interno della casa, ne avevamo anche modificato la facciata e parcheggiato esattamente le stesse macchine all’esterno. Era proprio casa nostra”.

Questo luogo di evoluzione e crescita, traslato nel grande schermo, diventa per Cuarón un universo epico, in cui lo splendido bianco e nero evoca le struggenti emozioni che si stemperano con i ricordi lievitati dalla magia del cinema.

“Roma” è una stupenda pagina, dentro quei frammenti c’è la vita in divenire, con le risate riecheggianti, le grida dei bambini, i lunghi pianti, l’amara scoperta del padre che passeggia con l’amante. La Ford Galaxi che faticosamente entrava nel cortile e puntualmente pestava gli escrementi del cane era forse per quel nucleo la più grande gioia.  Il film termina nello stesso luogo dove inizia: dentro il cortile della grande casa. Nel cielo appare un aereo lontanissimo, in volo verso una meta  ignota, mentre la vita corre incontro ad un insondabile destino, dove le trame femminili non si spezzano e la famiglia eroicamente si ricompone con l’amore.

Paola Olivieri