I Bellissimi: Lazzaro Felice

LAZZARO FELICE

di Alice Rohrwacher

Dopo “Le meraviglie” (2014), la regista Alice Rohrwacher presenta al Festival di Cannes 2018  “Lazzaro Felice”, interpretato  da attori non professionisti insieme ad altri affermati, vincendo il premio come migliore sceneggiatura ad ex aequo con “Three Face” di Jafar Panahi.

In entrambi i film, attraverso un linguaggio che corre sul filo delle emozioni, lo spettatore viene catapultato in una dimensione rurale, ove nuclei familiari e comunità vivono una transizione che significa distacco, rimanendo legati ad un patrimonio di valori confinato in un passato nel quale è impossibile tornare.

Per “Lazzaro Felice”, fiaba amara avvolta in un canovaccio surreale, la regista si è ispirata ad un fatto di cronaca realmente accaduto: una marchesa del centro Italia, approfittando dell’isolamento geografico della sua vasta proprietà, aveva ingannato i suoi contadini non rivelando loro la fine della mezzadria.

Mi ha sempre fatto una struggente tenerezza la storia di questi contadini che arrivarono in ritardo all’ appuntamento con la storia e che restarono tagliati fuori da una trasformazione, raccogliendo solo i resti di quel passaggio fragoroso”, dice la regista. Nonostante ci troviamo dentro un universo filmico fuori dai canoni ma di grande fascinazione, pulsa in esso il dramma dei contadini sfruttati e mai risarciti dentro quella piantagione di tabacco chiamata non a caso “l’Inviolata”. Non rivendicheranno i loro diritti neanche dopo essere stati liberati dalle autorità: analfabeti, privi di identità, sradicati da quella terra a cui sembravano appartenere, continueranno ad essere dei vinti “verghiani” anche in quella “terra di nessuno” chiamata periferia, trovando riparo solo dentro le baraccopoli delle grandi città. Tristi, invecchiati, ma sempre uniti, vivranno di traffici al limite della legalità.

Con una vasta gamma di registri e colori ed una stupenda fotografia, Alice Rohrwacher descrive quel divario terribile tra l’assolata campagna estiva ed il freddo inverno di trent’anni dopo dentro un’anonima e indifferente città. Nella prima parte del film entriamo in contatto con una comunità rurale coesa, che vive di riti, in un clima di atemporalità infranto solo da qualche brano musicale degli anni 90.

Tra fragorose risate, dentro una grande cucina dal soffitto basso, troviamo, sempre solo in un angolo eppure felice, il giovane Lazzaro, che non conosce neanche i suoi genitori. Sfruttato da tutti, è quello che non chiede nulla in cambio: aiuta la nonna, fa la guarda al lupo, fa l’uomo di fatica. All’interno dell’Inviolata, conosce il giovane e viziatissimo Tancredi, figlio della Marchesa Alfonsina de Luna, la proprietaria della tenuta. Purtroppo, questo legame nasce sotto una cattiva stella: per Lazzaro sarà amicizia sincera e preziosa che rimarrà intatta nonostante le dure conseguenze della truffa della Marchesa, per Tancredi sarà solo un gioco.

Come spiega la regista, la storia di Lazzaro “ è quello di una  piccola santità senza miracoli, la santità dello stare al mondo e di non pensare male di nessuno, ma semplicemente credere negli altri esseri umani”. Ma chi è Lazzaro? Forse è un eroe allegorico: cade da un dirupo ed invece di morire si addormenta, mentre un lupo si prende cura di lui, risorgendo tanti anni dopo in una grande città. Un episodio, questo, che ci rimanda alla spiritualità di San Francesco. Anche in questo luogo ostile, Lazzaro rimedia ai danni fatti dagli altri, non lotta, ma i suoi occhi sprigionano quella grande innocenza che è il salvapassare della sua integrità. Non si sfalderà neanche quando sbarcherà nella grande città ritrovando casualmente Tancredi nella più cupa decadenza morale.

Sempre con lo stesso animo candido e fedele all’amicizia, Lazzaro conoscerà una nuova crudeltà, più feroce  del lupo che infatti scapperà via confuso tra le macchine, lasciando i nostri  diseredati  sbalorditi di fronte al forte vento che esce da una chiesa.

Forse il vento sta seguendo proprio loro? Si, ma non sappiamo cosa spazzerà via.

 

Paola Olivieri