UN PICCIONE SEDUTO SU UN RAMO RIFLETTE SULL’ESISTENZA REGIA ROY ANDERSSON

Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza diretto da  Roy Andersson.

23/02/2015.Siamo un’umanità irrimediabilmente perduta che ormai non sogna più? E’ quello che viene da chiedersi dopo la visione de “Un Piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza”, vincitore del Leone d’oro 2014, opera carica di tensione che per volontà registica sfugge completamente al tradizionale impianto narrativo. Andersson è un intellettuale, si ispira alle arti pittoriche, traccia raffinate e sconcertanti immagini in movimento, di una bellezza quasi metafisica, che accolgono la disperazione dell’uomo.
Appaiono uomini la cui vita è offuscata dalla solitudine, intrecciati in legami familiari e sociali ipocriti, fautori di azioni feroci, di aberrazioni, ma capaci di essere sublimi ed esprimersi con spiazzante poesia. Questi sono i veri e silenziosi attori del drammatico film che, data l’attualità tematica, ha un carattere universale e non solamente scandinavo.
Il regista affronta il male di vivere con il suo sconcertante linguaggio, imbastendo trame raffinate, ma dai toni farseschi, in spazi che raccontano più di mille parole, ripresi in digitale nel loro evolversi con la tecnica del piano sequenza. Ma quando la tragedia tracima l’uomo nel baratro, il regista infioretta il quadro con qualche dettaglio umoristico strappandoci una risata dal sapore agro.
I tre prologhi iniziali, meri grotteschi incontri con la morte, sono anticipatori di questo complesso film che correrà sempre sul filo del surreale assumendo toni più gravi, per ricordarci che l’essere umano nei secoli ha sempre ordito piani crudeli…
Nel primo prologo un uomo viene colto da malore e muore mentre la moglie, che non si accorge di nulla, continua a canticchiare e cucinare; nel secondo siamo in ospedale al capezzale di un’anziana madre moribonda che tiene stretta una borsa con denaro e oggetti preziosi: vuole portarla in paradiso ma l’avidità dei figli gliela strapperà; nell’ultimo prologo un uomo giace a terra morto, in molti lo osservano immobili mentre la cassiera si preoccupa soltanto del pranzo già pagato.
Al centro della scena ci sono poi due alienati, ma non completamente rassegnati, commercianti ambulanti di articoli per feste e travestimenti che cercano invano di vendere la loro mercanzia portatrice di buon umore. Ma quei finti denti da vampiro, quei sacchetti che spremendoli emettono risate e quella strana maschera di zio Dentone non trovano acquirenti. Nessuno vuole festeggiare? Così sembra.
Il loro apparentemente inutile girovagare per le strade ed i locali di un’anonima città svedese si trasforma per lo spettatore nell’incontro con una umanità affetta da un’inguaribile infelicità mentre vive storie di ordinaria follia. “E’ giusto servirsi delle persone per il proprio piacere?” urla il più triste dei venditori ambulanti nel corridoio del suo alloggio. Ma nonostante ciò, vive nel disagio agendo con stanca rassegnazione.
“Sono contento che ve la passiate bene” dice un uomo che sta per suicidarsi, ma in questo panorama desertificato la felicità erompe attraverso il gioioso sprazzo di due fidanzati che si baciano. Forse c’è la gioia ma nessuno se ne accorge? Nel film non c’è spazio per essa, anche se va comunque guardato con occhi sensibili, in un clima di atemporalità dove gli stralci di un passato storico poco glorioso irrompono per ben tre volte sulla scena. Il poco virile ma aitante Carlo XII dai biondi capelli monta un possente cavallo ed entra prepotentemente con le truppe in un bar di periferia dei giorni nostri: deve dissetarsi ma vuole che l’acqua sia versata in un bicchiere da un bellissimo ragazzo. L’allusione all’omosessualità è metafora della fragilità che si annida anche nelle autorità, in contraddizione con la trionfale entrata a cavallo, simbolo di impetuosità, di desideri, di vita e morte insieme. L’irruenza dell’animale, traghettatore per eccellenza, traduce visivamente gli erronei dispieghi di forze portatrici solo di morte.
Le stragi ordite dall’umanità nel corso della storia sono state molteplici, l’uomo non deve dimenticare queste pagine… L’orrore si identifica in una visione di coloni che spingono con violenza uomini di colore in un serbatoio di rame a cui viene dato fuoco: le urla diventano musica per gli anziani impassibili aristocratici che osservano silenziosamente. C’è una via d’uscita per l’uomo? Il film si chiude con la visione frontale di uomini e donne alla fermata di un tram che non passa mai…

frasi del film

“Sono contento che ve la passiate bene

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