“Le sorelle Macaluso di Emma Dante. Opera cinematografica visionaria specchio di una dimensione spirituale.

Le sorelle Macaluso

Il film “Le sorelle Macaluso” è firmato dalla regista siciliana Emma Dante, che ha portato sul grande schermo una sua pièce teatrale omonima che si è aggiudicata nel 2014 il Premio UBU, come miglior regia e miglior spettacolo.

Un inaspettato lutto precipita una famiglia nel gelo che si disgrega  e le sorelle e le sorelle Macaluso  trovano posto solo nella loro casa ubicata nella periferia di Palermo. Quest’ultima, è una coprotagonista ingombrante, quasi soffocante, legata da una protettiva sorellanza con le protagoniste, ma, al tempo stesso, scrigno e memoria di emozionanti ricordi e ferite sanguinanti.

Pinuccia, Maria, Katia, Lia e Antonella hanno età diverse, alcune per sopravvivere sono già diventate adulte, nervosamente si spunzecchiano fino a litigare, ma essendo legate da un amore assoluto si proteggono l’una con l’altra.

«Anche i colombi devono mangiare in piatti belli» dice Antonella, la sorella più piccola delle cinque sorelle Macaluso, che si sostentano affittando i loro colombi, i quali ritornano sempre dove sono nati e vissuti e precisamente nel terrazzo sopra il loro appartamento.

Sono questi volatili bianchi, percepiti dalla regista con struggente poeticità ad accompagnarle quando escono per andare al mare, a seguire come angeli la salma di Lia fino ad abbandonare per ultimi la casa di questa famiglia tutta al femminile. Dodici attrici diverse hanno interpretato le cinque sorelle, in quanto la regista ha scelto nuovi volti sottolineando così l’evoluzione temporale di ogni personaggio.

In un assolato pomeriggio estivo, le ragazze decidono di recarsi al Charleston, un bagno molto elegante di Palermo nel quale entrano di nascosto scivolando giù da una ringhiera. C’è chi scopre l’amore, chi si diverte tra le onde e chi cercando di arrampicarsi su una scaletta perde la vita come la piccola Antonella.

Per tutte loro non ci sarà più un giorno di mare. Il loro difficile presente sarà per sempre corroso dal fardello del rimorso e della vergogna, ma nonostante tutto, un amore assoluto colmo di contraddizioni, le stringe in un nucleo violato dal lutto. Per Maria ormai divorata da un male incurabile, la casa è ancora luogo nel quale desiderare gli ultimi sprazzi di vita piangendo disperatamente, mentre i piccioni continuano a vivere nella colombaia e le chiavi di casa si appoggiano sempre nel solito piatto. I dialoghi tra le sorelle Macaluso sono brevi, il non detto con gli intensi sguardi sono il loro canale di comunicazione.

I balocchi e le vecchie bambole non si gettano, sono stipati nei cassetti in quanto simboli di una felicità perduta a cui si aggrappano le sorelle superstiti di fronte al loro fallimentare presente.

Da quella casa non usciranno mai (qualcuna si sposerà, altre sceglieranno la solitudine), l’assenza di Antonella si trasforma per loro in uno struggente rimpianto, così forte da essere una presenza che le insegue nel loro percorso di vita ormai spezzato. La fascinosa Pinuccia truccandosi allo specchio del bagno, rivede sempre Antonella che la guarda incantata e Maria, con gli occhi colmi di commozione, ricorda la sorella felice nella grande colombaia. Forse perché le lancette dei loro orologi segnano solo le emozioni e non il tempo che, come vedremo in corso d’opera, levigherà le rispettive asperità fino all’accettazione di quella colpa che affligge Lia.

Nessuna delle sorelle Macaluso cercherà veramente nuovi corridoi di vita fuori da quell’appartamento in quanto legate da un forte vincolo di sangue: la visionarietà poetica fatta di simboli e deliri figurativi, racconta una tragedia divisa tra fragilità e grandezza di emozioni. La scelta di rifuggire un linguaggio narrativo tradizionale, rende il film fonte di ispirazione.

Paola Olivieri

 

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