JOAN DIDION: IL CENTRO NON REGGERA’.” EPPURE LA CALIFORNIA E’ RIMASTA IMPENETRABILE PER ME ,UNO SFIANCANTE ENIGMA…COME LO E’ PER MOLTI DI NOI CHE VENIAMO DA LI’

Joan Didion: Il centro non reggerà regia di Gruffin Dunne.

 

20 02 2020.Lo splendido documentario “Joan Didion: il centro non reggerà” è una produzione Netflix firmata da Griffin Dunne, nipote della leggendaria giornalista saggista americana, nata nel 1934 a Sacramento. La sua energica famiglia, aveva attraversato le praterie e seguendo coraggiosamente le mappe, si era spinta fino all’estrema frontiera: la California. “Eppure, la California è sempre rimasta impenetrabile per me, uno sfiancante enigma….dice la scrittrice e prosegue “come lo è per molti di noi che veniamo da lì”.

L’intervista all’iconica Didion è realizzata da Dunne in un contesto familiare quasi intimo, è quel filo di Arianna che dipanandosi poco alla volta, svela il vero volto della giornalista: nelle prime immagini, ricorda di aver ricevuto in dono dalla madre un prezioso quaderno dalla copertina azzurra, per appuntare le proprie riflessioni.

Sicuramente quel seme farà germoglierà qualcosa in lei. Gli orizzonti per Joan cambiano improvvisamente prospettiva nell’ultimo anno di università a Berkley: la madre gli fa notare l’annuncio del competitivo “Prix de Paris” per laureandi, lanciato dalla prestigiosa rivista di Vogue. Il primo premio consiste in un lavoro a Parigi oppure a New York. Joan partecipa e vince. Vogue, appena laureata, offre alla Didion un lavoro, entra dalla porta principale nella sede di New York. Nel fashion magazine incontra Allen Talmey, una editorialista di ferro, che gli insegna a scrivere con piglio ironico e brillante dinamismo, adottando i verbi di azione capaci di attirare il lettore. Joan è una giovane brillante, si fa largo con le sue visioni, la sua scalata è veloce da copywriter a redattrice associata: esce sulla cover di Vogue dell’agosto del 1961 un articolo graffiante “Self respect, it’s source, it’s power”. Il titolo è intraducibile, ma sprigiona un monito per la salvaguardia della propria identità che non deve subire nessuna sorta di limitazione.

New York ha accolto a braccia aperte Joan, sarà nella Big Apple che incontra un altro giornalista e scrittore raffinato, John Gregory Dunne, che scrive per il Time: tra loro c’è subito la giusta intesa ed il matrimonio non tarda ad arrivare. “Potevo stare solo con uno scrittore perché un’altra persona non avrebbe avuto pazienza con me“, dice Joan ricordando il suo grande incontro. Tra i due il legame letterario sarà sempre più forte, fondato sul serio rispetto dei punti di vista e le tante affinità, convergendo in collaborazioni lavorative per riviste di pregio.

Il trasferimento in California è foriero di cambiamenti, la suggestiva dimora losangelina a picco sul mare, diventa stretta quando arriva una inaspettata telefonata dal Saint John Hospital, che comunica loro la concreta possibilità di adottare una neonata. La bambina “dai lineamenti di un bocciolo” viene chiamata Quintana Roo. I coniugi, insieme alla piccola, si trasferiscono in una vecchia villa piena di stanze su Franklin Avenue che, oltre a essere bellissima, ha come vicini inquiete rock star. In quel momento l’America è piena di tensioni, la filosofia degli Hippie incanta le giovani generazioni, vanta un nuovo modello di vita fatto di pace e amore, che si contrappone alla società borghese e capitalista piena di tabù che fa riferimento all’American Dream. Joan frequenta le rockstar, il suo sguardo, che va oltre, fotografa questo periodo e seguendo il faro della verità scrive e pubblica “Slouching Towards Bethlehem”: il libro si chiude con l’immagine di un bambino seduto a terra, con le labbra diventate lucide per l’assunzione di acido. La Didion scrive di critica sociale forgiando uno stile (imitatissimo in seguito) attraversato da pathos, analisi lucide quanto dirette e feroci. Ma la fine degli anni ‘60 sono trafitti dall’efferata tragedia consumata a Cielo Drive e la morte di Sharon Tate, incinta di quasi nove mesi, insieme ad altre 5 persone a causa della setta di Charles Manson. Joan è in piscina e l’attrice Nathalie Woods la chiama per raccontare ciò che è successo.

La giornalista segue il caso, entra in contatto con Lynda Kasabian (seguace della family di Manson) e testimone chiave del processo Tate: la giovane donna, incinta di sette mesi del suo secondo figlio, le confiderà, scioccando la giornalista, di come la sua casa dove abitava con John e Quintana sia stata presa di mira dalla setta.

Nel 1979 pubblica “White Album”, mentre il marito scrive due opere: “ Vegas”, “A Memoir of a Dark Season”. La Didion è anche un’icona di stile, conosciuta come una splendida narratrice ed una brillante giornalista, capace di percepire le evoluzioni ed involuzioni sociali, ampliando sempre i suoi orizzonti. Nel 1983, si cimenta nella politica con un terribile reportage sul Salvador. Ma la coppia Dunne Didion, frequenta anche Hollywood, firma splendide sceneggiature, la loro casa di Malibu Beach diventa un crocevia di voci cinematografiche come Brian De Palma, Martin Scorsese, Steven Spielberg, mentre il giovane Harrison Ford fa da carpentiere. Joan vive in una dimensione unica, per lei scrivere è tutto, significa esprimersi con prosa piena di fascinazione, mettere nero su bianco le tragedie umane, il dolore personale e le discriminazioni sociali capaci di far vacillare il sogno americano.

Vive due terribili disgrazie che cambiano la sua vita, la figlia, da poco sposata nel luglio del 2003, viene colpita alla vigilia di Natale dello stesso anno da una polmonite, che in breve tempo la imprigiona nel coma. Dopo sette giorni, il marito muore per un infarto nel loro appartamento newyorkese. Dopo il funerale del padre, Quintana parte per Malibù, in aeroporto batte la testa, l’ematoma riportato la condurrà ad una operazione chirurgica. Seguono due anni di faticosa riabilitazione, una fatale pancreatite la porterà alla morte il 26 agosto 2005. Niente sarà più come prima, professionalmente ha toccato vette altissime ed è caduta nell’abisso del dolore: scrivere significa comprendere il lutto. Nel 2005 esce “The Year of Magical Thinking” che si aggiudica il Premio Pulitzer: il drammaturgo inglese David Hare le propone di scrivere una piece teatrale con lo stesso titolo del libro. Andrà in scena nel 2007 con Vanessa Redgrave. L’ultimo libro è Blue Nights del 2011.

Nel suo futuro vede che “un mattino, quando il mondo sembra prosciugato di meraviglie, un giorno in cui meccanicamente faccio quello che dovrei fare, ovvero scrivere…Quel mattino fallito, aprirò semplicemente il mio quaderno e ci sarà un conto dimenticato con gli interessi accumulati”.

 

DI PAOLA OLIVIERI

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