Il cinema italiano del dopoguerra.

Ciao a tutti ogni settimana pubblicheremo brani di storia del Cinema.

Nel 1946 l’Italia era un cumulo di macerie. Il popolo italiano era ferito, ma aveva sete di libertà come il desiderio di ricominciare tra mille incertezze e difficoltà. Il neorealismo  pulsa di straordinaria vitalità , il pubblico accorre nelle sale perché il grande schermo è lo specchio delle loro storie:  proietta dell’uomo comune   il dolore e le speranze ritrovate, i dialoghi arrivano al cuore , mero auspici di un nuovo futuro . E’ solo in questo periodoì che uscendo dalla Sala Cinematografica era facile rincontrare i personaggi come  Pina ( Anna Magnani) e Don  Pietro ( Aldo  Fabrizi) di  Roma città Aperta oppure Bruno (Enzo Staiola) di “Ladri di biciclette “ e perché no di Pasquale ( Franco Interlenghi) e Giuseppe ( Rinaldo Smordoni) del bellissimo Sciuscia   Come sottolinea giustamente il grande  Gian Piero Brunetta, Pina e Francesco  immaginano  un modo possibile di pace,nato grazie allo sforzo ,al sacrificio e alla lotta collettiva: “ Pina: “ Ma quando finirà? Ci sono momenti che non ne posso più. St’inverno sembra che non debba finire mai….“ Francesco”:” Finirà,Pina,finirà…e tornerà la primavera e sarà più bella delle altre perché saremo liberi.Bisogna crederlo,bisogna volerlo…Noi lottiamo per una cosa che deve venire, che non può non venire .Forse la strada sarà lunga e difficile…ma arriveremo e lo vedrono un mondo migliore! E soprattutto lo vedranno i nostri figli. Dai resti di un mondo sconvolto si tenta di far nascere e ipotizzare la crescita di un individuo capace di creare nuovi rapporti tra le persone e lo spazio in cui agiscono”(Cent’anni di cinema italiano. Dal 1945 ai giorni nostri di Gian Piero Brunetta Editori LATERZA).

In quel periodo autori come Rossellini, De Sica , Zavattini,De Santis , Visconti, Lattuada,Zampa incrociando  produttori che scommisero sulla  cultura e sulla loro  intelligenza diventarono protagonisti dei  grandi Festival nel mondo.

La “Manifestazione internazionale d’Arte Cinematografica” di Venezia rialza la testa e, diretta da Elio Zorzi, riprese la sua attività con una edizione dal 31 agosto al 15 settembre. Concreto fu in quel periodo il rischio che all’evento italiano si sovrapponesse quello di Cannes. Dalla Francia, infatti, saputo che a Venezia era in programma la ripresa della manifestazione, fu prevista l’inaugurazione del Festival del Cinema di Cannes (nato nel ‘39 ma slittato a causa della guerra) proprio negli stessi giorni dell’evento veneziano. Fu necessario che Zorzi si recasse a Parigi a cercare un accordo con i francesi per rendere possibile una variazione di periodi ed una reciproca promozione. In una manciata di anni, il Festival di Cannes si trasformerà in una delle manifestazioni più importanti del mondo, con un forte legame tra cultura cinematografica, espressa attraverso le eccellenze mondiali, e vita mondana. Nella prima edizione era in corsa il film italiano “Roma città aperta” di Rossellini, che vinse ben 11 premi, tra cui il Gran Prix (la Palma d’oro non era stata ancora istituita). Sulla Croisette c’era anche il giovanissimo e geniale produttore Dino De Laurentiis che, come ricorda Tullio Kezich, rappresentava l’industria cinematografica italiana. Al tempo stesso, concorreva con due sue produzioni, “Travet” di Giovanni Soldati e “Il bandito” di Alberto Lattuada (DINO. De Laurentiis, la vita e i film de Laurentiis , di Tullio Kezich Alessandra Levantesi  Feltrinelli  2009).

Quell’anno a Cannes  Michel Morgan si aggiudicò , la vittoria nella sezione “Miglior attrice” nel film “Sinfonia Pastorale” di Jean Delannoy, mentre Ray Milland quella di “Miglior attore” nel film “Giorni Perduti” di Billy Wilder.

Nella edizione del 1946 di Cannes furono selezionati film quali “Notorius” di Hitchcock, “Breve Incontro” di David Lean, “Operazione Apfelkern” di René Clement, “Angoscia” di George Cukor, “Gilda” di Charles Vidor, “La bella e la bestia” di Jean Cocteau, “Eroi senz’armi” di René Clement, “Anna e il re di Siam” di Cromwel.

Nei palmares degli anni ‘50 appare, ancora a Cannes, “Miracolo a Milano” di Vittorio De Sica, così come nel 1960 viene consegnata la Palma d’Oro a “La dolce vita” di Fellini, grandioso film scompaginatore del linguaggio cinematografico, che fu oggetto di numerose critiche in Italia. Nello stesso anno viene premiato per il film “Avventura” Michelangelo Antonioni, in quel periodo osteggiato in Italia dai meccanismi produttivi.

Cinematograficamente l’Italia era pronta a raccontarsi .. I telefoni bianchi erano solo un ricordo: registi, sceneggiatori e critici premevano l’acceleratore su quel processo radicale volto a svecchiare la preesistente cultura, facendo venire alla luce il nuovo cinema italiano. In qualunque momento storico il cinema ha sedotto le coscienze virtuose quanto sensibili, capaci di cogliere l’autenticità e la meraviglia in piccole storie passate inosservate ai più. Non dimentichiamo che gli occhi del cinema vedono le stesse cose che vediamo anche noi, ma sono capaci di renderle universali.

Con il Neorealismo i fatti di cronaca diventarono materia di cinema, le vie si trasformarono in set ove i ragazzi presi dalla strada diventavano strumenti meravigliosi in mano a grandi registi. Quei messaggeri dai volti inconfondibili hanno attraversato una realtà cinematografica che non si è più ripetuta, in quanto sprigionante una nuova morale.

E’ Dino De Laurentiis a trascinarci con le sue parole in questo periodo che vede l’affermazione di grandi maestri del cinema, alcuni dei quali “consacrati” a Venezia, altri a Cannes. Ed è per questo che i due festival si intrecciano sempre. “Ci chiamavano cinematografari. I governi, nel migliore dei casi, ci sopportavano, non amavano il cinema né noi che lo mandavano avanti. Un po’ perché davamo l’impressione di fare i film contro. Un po’ perché all’epoca nessuno ha mai capito la forza di un film che ha successo. E invece nel dopoguerra, quando non esisteva più un’industria cinematografica in un’Italia uscita da due occupazioni, la tedesca e l’americana, si affermò un gruppo di cineasti, noi, che ci guardavamo intorno e trovavamo queste storie di vita vera, straordinarie. Riuscivamo a trasformarle in pellicola con mezzi di fortuna, in quella dimensione di assoluta povertà che poi i critici hanno chiamato neorealismo. Giravamo per le strade perché non avevamo quattrini, non avevamo niente: solo idee ed entusiasmo. E così abbiamo realizzato film che sono andati ovunque e sono entrati nella storia del cinema. E’ attraverso questo biglietto da visita che abbiamo riconquistato la simpatia”. (“L’avventurosa storia del cinema italiano: da Ladri di biciclette a La Grande Guerra”, a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi, Cineteca Bologna, 2011).

La “Manifestazione internazionale d’Arte Cinematografica” di Venezia del 1946 era un giardino di esordi significativi italiani e stranieri . Venti  cinematografici di libertà espressiva attraversavano il Neorealismo che, raccontando un popolo in lotta, lo aveva reso per la prima volta protagonista assoluto. “C’è una spiegazione?”, chiede Giuseppe De Santis a Jean A. Gili. “Io penso che derivi dal fatto che intorno al cinema hanno gravitato molti intellettuali, in primis il gruppo, che tu conosci benissimo, riunitosi intorno alla rivista ‘Cinema’, che cominciò già negli ultimi anni del fascismo a condurre una battaglia per un cinema diverso, nuovo, che parlasse degli italiani e soprattutto della gente comune. Ecco, credo che questo merito non sia della letteratura e della pittura (…) Le circostanze hanno fatto in modo che questo gruppo di intellettuali, soprattutto quelli raccolti intorno alla rivista ‘Cinema’ – Antonioni, i fratelli Puccini, Purificato, io stesso, Alicata, Ingrao, eccetera – si battesse perché in Italia il cinema avesse una sua peculiare funzione” (“Alle origini del Neorelismo. Giuseppe De Santis a colloquio con Jean A.Gili”, Bulzoni editore, 2008, pag 120).

Come vedremo Zavattini, De Sica, Visconti, Rossellini, Lattuada, Zampa, Lizzani, De Santis erano uniti nel trasformare il cinema in uno strumento capace di mettere in scena un risveglio morale. Nello stesso anno in cui al Festival di  Cannes Roberto Rossellini concorre con “Roma città Aperta “, a  Venezia invece : presenta il rivoluzionario “Paisà” (1946): un viaggio alla scoperta di un’Italia in rovina attraverso le esperienze belliche e post belliche ed il contatto con gli alleati.  Racconta l’Italia con i suoi sogni ed il sui dolori dentro  set fatti rovine e macerie cornice di un linguaggio cinematografico che sprigiona la verità.

Paola Olivieri