I “Disaster movie” di Baltasar Komakur:Everest

I “Disaster movie” di Baltasar Komakur

 

Baltasar Komakur è un regista appassionato di storie estreme.  Ha firmato “Everest”, film di apertura della 72° Mostra d’Arte Cinematografica Italiana di Venezia nel 2015 e “Resta con me”, uscito in Italia il 29 agosto 2018. Acclamato dalla critica nella sua nativa Islanda, esperto tanto nell’azione quanto nel dramma, le sue radici hanno una certa familiarità con il freddo.

“I paesaggi e il clima – spiega – sono parte di me, in Islanda la natura è sempre attiva e presente. I vulcani in eruzione e le valanghe che minacciano regolarmente i villaggi ci fanno sempre ricordare la potenza di Madre natura. Avendo viaggiato a cavallo attraverso gli altipiani islandesi per settimane, senza mai incontrare nessun segno di civiltà, ho sempre voluto raccontare la storia di persone che devono sfidare la natura, mettendo in luce le loro personalità in maniera sottile, facendosi un profondo esame introspettivo e studiandosi a fondo. Per esperienza, dico che non si conosceranno mai totalmente i propri amici se non in certe condizioni.

I grandi spazi della natura diventano trappole quando gli elementi climatici si rivoltano: Komakur nei suoi  film rende chiaro quanto sia impari il rapporto tra uomo e natura poiché quest’ultima non è  assoggettabile alle sue logiche

Panico ad alta quota è il filo conduttore di “Everest”, dove il pubblico viene scaraventato a quasi 9.000 metri nella vetta più pericolosa del mondo, attraverso una spedizione americana realmente avvenuta nel 1996, in cui persero la vita otto persone. Alcuni partecipanti a questa drammatica avventura toccarono la cima fino a che si abbattè su di loro una violenta tempesta, spazzando via tutti i sogni e spingendoli ad una lotta per la sopravvivenza.  Della vicenda il giornalista Jon Krakauer, sopravvissuto alla spedizione, scrisse un libro intitolato “Aria sottile” che ha ispirato questo film, in cui viene sottolineato ancora una volta quanto l’uomo pervicacemente ami scalare i crinali della selvaggia natura mettendo a repentaglio il suo destino.

“L’essere umano non è fatto per funzionare alla quota di crociera di 747. Il nostro corpo inizia a morire”,  dice Rob Hall, guida alpina dell’Adventure Consultants, al gruppo eterogeneo che è con lui.

Dunque perchè l’uomo mette così a repentaglio la propria vita?

“Perché io posso vedere la bellezza che in pochi hanno visto”, dice nel film uno dei partecipanti alla spedizione.

Scalare per arrivare sul tetto del mondo può significare per alcuni dimenticare le ferite della vita, per altri tenere fede ad una promessa, per altri ancora perdersi per poi ritrovarsi in territori sconosciuti, alleggerendo durante la scalata quei fardelli con i quali combattere.

Incontri emotivi ravvicinati, inquadrature adrenaliniche della grande lotta uomo-natura, un campo base affollato e chiassoso, mentre Komakur mette il dito su una piaga: la commercializzazione della passione alpinistica, che tramuta la sfida umana in evento di moda. Chi decide veramente in quelle vette dimenticate? E’ la montagna che ha sempre l’ultima parola. Pur conoscendo le sue regole ferree, Rob Hall morirà nella spedizione. Tante domande restano ancora senza risposta: l’approssimazione organizzativa delle spedizioni in corso quel giorno, che causò ritardi nella salita? La generosità di Rob verso l’amico – cliente Doug, che rallentò la discesa? La ferocia del cambiamento climatico improvviso? Coni di ombra avvolgono tuttora questa drammatica vicenda.

Paola Olivieri

 

 

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