“La pazza gioia” dentro gli impossibili sogni
Inaspettato quanto emozionante è stato il discorso di ringraziamento dell’attrice torinese Valeria Bruni Tedeschi ritirando il premio “David di Donatello” 2017, sezione miglior attrice, per la superba interpretazione dell’istrionica contessa Beatrice ne ‘La pazza gioia’ firmato da Paolo Virzì.
In coppia con la Ramazzotti, coprotagonista del film e da lei chiamata sul palco, la Bruni Tedeschi si è lanciata in un prolisso elenco di ringraziamenti, cogliendo di sorpresa un pubblico composto per lo più da attori, produttori e registi. Una vera e propria esplosione di felicità e di ironia, che ha evocato il clima surreale in cui nel film Virzì adagia Beatrice e Donatella (Micaela Ramazzotti). Melodramma sublime ove le emozioni non cedono mai a nessuna forma di compromesso.
Grazie a…
Franco Basaglia per aver rivoluzionato la psichiatria in Italia
Paolo Virzì che mi guarda da anni con tenerezza
La mia amica Barbara che mi propose la sua amicizia il primo giorno d’asilo
e mi dette un po’ della sua focaccia facendomi sentire magicamente non più sola
Amici e amiche senza i quali non potrei vivere
La mia povera psicanalista
Leopardi, Ungaretti, Pavese
Natalia Ginzburg
Anna Magnani Gena Rowlands e suo marito
De André, mia madre, Brassens, mia sorella, mia zia
Paolo Virzì
I registi che mi hanno accolta nei paesi della loro fantasia e quelli che mi accoglieranno ancora permettendomi di vivere quella vita parallela che è il cinema
Gli uomini che mi hanno amata, che ho amato e che mi hanno abbandonata –
che mi ameranno l’avrei detto dopo – perché mi sento fatta di tutti loro
ed è a loro che mi racconto
Gli sconosciuti che mi fecero un sorriso e un gesto nei giorni più bui
I miei due meravigliosi bambini.
Chi, più di Virzì, comprende le donne? In tutta la sua cinematografia, ha stilato meravigliose figure femminili, dando voce ai grandi sogni e alle terribili paure, imbastendo un divertente immaginario ove vortici di emozioni e nevrosi si rincorrono attraverso personaggi affetti da ferite che hanno solcato il loro inconscio, esasperando così la loro tristezza.
Il brillante regista avvince giocosamente lo spettatore con i suoi originali personaggi, che inaspettatamente afferrano forse per l’ultima volta quella speranza capace regalare un nuovo smalto ad un presente strapazzato dal disagio. Ed è qui che tra lacrime e riso è facile affezionarsi ad Ella e John di “The leisure Seeker”, oppure a Beatrice e Donatella di ”La Pazza gioia”, perché ci coinvolgono in strampalate fughe verso la felicità che nulla promette, mentre lottano con un presente disperato. Sono dunque fiabe amare quelle di Virzì? Forse è diventato ancora più amaro il mondo dei sani e dei razionali.
Gli ironici guizzi di Virzì, che non tradiscono il suo spirito toscano, coniugandosi con quel suo “capitale umano” straboccante di fantasia e pathos, sono un modo di fare cinema che racconta, senza dimenticare i tratti della commedia all’italiana, i drammi nei quali il termostato emotivo oscilla tra una “pazza gioia” ed un insostenibile presente.
In “Ella e John” e ne “La pazza gioia” si avverte che lo sguardo del regista si fa estremamente sensibile quando chiama in causa alcune sue eroine bersagliate dagli strali della vita, le quali reagiscono con ironia pungente dentro un vortice di urlate contraddizioni, cercando così di scacciare il lancinante dolore del disagio attraverso viaggi verso lidi sconosciuti.
I due film, il primo considerato dai critici più tiepido rispetto al secondo, sono ”on the road movie” nei quali tutti i protagonisti, sottraendosi alle cure mediche, rubano del tempo al loro inquieto presente. Fuggono verso il sogno della libertà, scontrandosi con una società incapace di accettarli.
Mentre Ella e John scoprono un’America che non riconoscono più, ormai diventata troppo violenta, Beatrice e Donatella scorrazzano per le periferiche strade toscane, protagoniste di gag ove è facile ritrovarsi per ridere della nostra Italia e di come sia arido un mondo di sani capace solo di deriderle.
Entrando ne “La pazza gioia”, Beatrice (Valeria Bruni Tedeschi) e Donatella (Micaela Ramazzotti) sono vittime del disagio psichico che spesso esplode in modo incontenibile. Stringono amicizia dentro una comunità terapeutica destinata a donne che subendo le sentenze del tribunale sono considerate pericolose e sottoposte a terapie volte al recupero.
Beatrice è stata allontanata dalla famiglia per aver mandato in bancarotta il marito, un noto avvocato. E’ istrionica quanto logorroica, una vera “sciura” milanese che ha tutti i difetti degli egocentrici, vantando grandi amicizie e raccontando, tra follia e normalità, appassionanti avventure della sua vita.
Donatella, invece, è di umili origini, una fragile donna chiusa nel suo dolore di madre ferita. A causa del suo tentato suicidio, gli è stato sottratto il figlio per darlo in adozione. Respinta dal padre del bambino, si è gettata nel fiume con il piccolo.
In un contesto fuori dalle righe, la maniacale e prolissa Beatrice cerca di prendersi cura di Donatella e quest’ultima, quasi soggiogata dalla travolgente amica, la segue. Durante un’uscita dalla Comunità terapeutica, il servizio di vigilanza perde il controllo delle sue pazienti. Beatrice e Donatella ne approfittano per fuggire: incontrano uomini che tentano di approfittarsi di loro, ma dentro questo improbabile sogno di gioia che non stagna il loro dramma, cercano i legami familiari, in un presente mortificato dai farmaci e dalle ristrettezze economiche. Sono state due figlie di donne anaffettive, assenti, che hanno lasciato loro il segno della tristezza a volte respinta, altre volte ignorata, di sicuro vissuta tra alti e bassi strizzando l’occhio alla felicità.
Ed è nella seconda parte de “La pazza gioia” che Virzì affronta, attraverso una serie di drammatici episodi, il tema del disturbo psichiatrico capace di schiacciare un qualsiasi presente: nonostante siano incapaci di autogestirsi, vediamo le due donne correre e ridere, cullandosi di musiche e di illusioni e, perché no, nel desiderio di un futuro fuori dalla comunità.
Il regista sembra voler indagare su quanto gli incontri sbagliati di Beatrice e Donatella abbiano sconvolto la loro mente. Quanto può farci deragliare il dolore? I comportamenti possono essere il termometro dell’emotività, ma non c’è risposta certa.
“E te, bimba mia, ti devi aiutare da sola”, dice il padre a Donatella mentre giace sul letto di ospedale.
“Adesso facciamo così, tu ti riprendi con calma e poi ti faccio riportare in comunità“, dice il marito a Beatrice dopo aver passato con lei una notte, ancora affascinato dalla donna.
Ad entrambe resta solo la reciproca amicizia e la speranza che il calore umano e l’amore possano mettere a tacere gli spettri che agitano il loro presente.
Paola Olivieri