LA TEORIA DEL TUTTO
Regia James Marsh
“Nessuno sa mai da dove il prossimo grande salto arriverà, né da chi”.
14/03/2018 “Per quanto difficile possa essere la vita, c’è sempre qualcosa che è possibile fare. Guardate le stelle invece dei vostri piedi”: è questa la speciale visione e la forza distintiva di Stephen Hawking, a cui il regista James Marsh (premio Oscar per “Man on Wire”) dedica “La teoria del tutto”, ispirato al libro “Verso l’infinito” scritto da Jane Wilde Hawking, sua ex moglie.
Gli scienziati geniali, intrappolati dalla sete di conoscenza e risucchiati dallo sconfinato amore per l’universo, si distruggono l’esistenza con le grandi domande, cercando di decodificare il mondo che le circonda. Hawking coltivava un grandioso traguardo: ricercare “una singola equazione unificante” capace di spiegare l’origine dell’universo. Voleva essere rivoluzionario, ed ha fatto centro postulando teorie scientifiche sulle modificazioni dello spazio-tempo, in particolare sul fenomeno della radiazione dei cosiddetti “buchi neri”. Ma l’universo è proprio così? Quando tutto ha avuto inizio? “Nessuno sa mai da dove il prossimo grande salto arriverà, nè da chi“, gli dice il suo professore d’Università.
Marsh non si concentra solo su Hawking geniale astrofisico, ma ne rivela la profondità umana, rende epico il suo inguaribile ottimismo ammicante, disseminato da pungente ironia. Ciò che catalizza l’attenzione dello spettatore è la vivacità intellettuale che febbrilmente agita quella mente geniale (attualmente in piena attività di ricerca) imprigionata in un corpo praticamente inesistente. Come ci mostra il film, Hawking ha osato oltrepassare il confine della conoscenza perché sospinto da un’invisibile arma, il sogno. Ha conquistato il grande pubblico con il libro divenuto best seller “Dal big bang ai buchi neri”, era inevitabile che il cinema non rimanesse silente di fronte a tale personaggio. Ma più che soffermarsi sui grandi misteri del cosmo, il film fluttua in un universo parallelo: quello dell’amore profondo, costellato dalle sue mille sfaccettature.
Tutto è allora possibile attraverso l’amore? E’ stato così per Jane, studiosa di poesia iberica, che velocemente conquista il cuore del brillante accademico ancora in salute. A soli 21 anni Hawking scopre di essere afflitto da una malattia degenerativa, la sclerosi laterale amiotrofica, per la quale i medici gli pronosticano solo due anni di vita. Ma per Jane niente distruggerà i loro progetti.
Marsh tratteggia l’universo privato della coppia con equilibrata delicatezza. Tra Jane e Stephen nasce una simbiosi amorosa, quella luminosa forza che lo accompagnerà nelle grandi scoperte. Ed è questa l’anima del film. Se da un lato viene omaggiata la toccante generosità di Jane, dall’altro “La teoria del tutto” svela la metamorfosi di un grandioso personaggio. Stupiscono le immagini radiose del giovane Hawking bruciante di spensieratezza a Cambridge mentre corre felice in bicicletta, inquietano le sue prime difficoltà, sino all’immobilità fisica: dalla condizione di brillante accademico che nell’anonimato vive le sue intuizioni a quella di icona per tantissimi studiosi.
Il tempo, oggetto di grande interesse per ogni cosmologo, è cinico nella sua lotta contro il declino fisico, facendo imbrunire di tensioni anche il legame d’amore con Jane, proprio mentre la sua carriera rifulge di successi.
Il regista costruisce un film che, correndo sul filo delle emozioni, coinvolge il pubblico facendolo partecipe di un grandioso destino strappato alla morte. I protagonisti, Eddy Redmayne e Felicity Jones, sono perfetti: non interpretano, ma vivono, i loro ruoli, restituendo quella veridicità emotiva che subito bussa al cuore dello spettatore. Eddie Redmayne abbandona la sua fisicità flessuosa e scattante e si trasforma totalmente, interiorizzando le diverse fasi del declino fisico senza dimenticare quei guizzi dolci ed ironici che traspaiono nello sguardo del vero cosmologo. Felicity Jones è splendida nell’interpretazione di Jane, vivendo il grande amore contro ogni logica scientifica.
Paola Olivieri