25/07/2017Enigmatica quanto sofisticata, algida, vendicativa, capace per amore di morire e uccidere, ma anche di sorridere alla vita mentre i suoi occhi narrano storie di donne tormentate: Isabelle Huppert sa cogliere le zone d’ombra di qualsiasi personaggio.
Attraverso i suoi guardi e le agili movenze dell’esilissimo fisico, i lunghi silenzi diventano elementi-sfumature ed è questa magia che la rende una delle più acclamate regine dei Festival di tutto il mondo.
La regista Anne Fontaine fa “scivolare” questa icona in una commedia intitolata “Il mio migliore incubo”, affiancata dal popolarissimo Benoit Poolverde. Una coppia che già di per sé rappresenta una sfida cinematografica. I due giocheranno sul tema dell’antitesi e del rivaleggiamento, mentre i nostri occhi ricordano “La merlettaia”, “La vera storia della Signora delle Camelie”, l’impenetrabile fotografa di “Segreti di famiglia”.
Il film corre spedito tra gag esilaranti, punteggiato da situazioni al limite dell’assurdo, con una “collisione di classe dai risvolti romantici” tra Agathe, direttrice di una fondazione d’arte contemporanea e Patrick, donnaiolo – tuttofare all’occasione anche homless.
Mentre la vita di Agathe scorre tra un vernissage e l’altro, lasciando suo marito nel gelido inverno dell’indifferenza, il suo demotivato figlio Sebastien stringe amicizia con Tonin, adolescente colto e intelligente, figlio del triviale Patrick. I due ragazzi si frequentano ed anche i loro genitori sono travolti da un insolito destino nella lussuosa dimora di eleganza tutta francese. Le irresistibili scintille non promettono solo risate, ma riflessioni drammatiche ed emozioni di cui abbiamo bisogno.
Se la vita è in continua evoluzione, il film cresce verso una visione stratificata in quanto Patrick, ristrutturando per ordine del compagno di Agathe la lussuosa dimora, abbatte e farà abbattere le barriere dell’infelicità che stringono i loro vulnerabili cuori.
Tra incomprensioni e coppie che scoppiano, il mondo dell’arte, che di per sé è di difficile accesso, sarà capace questa volta di includere le romanticherie. L’happy end c’è, ma per i classisti è una vera provocazione.
PAOLA OLIVIERI