14/07/2015.“Non c’è nessuna forma d’arte come il cinema per colpire la coscienza, scuotere le emozioni e raggiungere le stanze segrete dell’anima”: questo era Ingmar Bergman, che nella sua filmografia ha messo al centro i tormenti dell’uomo moderno. Ora, dalle gelide acque del Nord, arriva un altro svedese, Ruben Ostlung, classe 1974, è stato capace di catapultare lo spettatore nelle dinamiche distruttrici di un nucleo familiare che smette di giocare di squadra quando l’egoismo del marito sdogana l’autentico significato di amore. Nonostante il crollo della comunicazione tra i sessi, le coscienti debolezze portatrici di una bancarotta familiare, appare possibile, come nell’epilogo, ritrovare il senso di unità per proiettare la famiglia verso il futuro.
Sembrano all’apparenza avere tutto, Tomas e Ebba, ma le difficoltà non tardano a venire quando si recano per una vacanza di sci nell’Alta Savoia. I ritmi della montagna cui sottostare, il bianco accecante, la maestosità della natura quasi minacciosa, i ricorrenti spari delle cannonate di neve, le corpose sonorità vivaldiane, sono un allarmante prologo dal sinistro fascino. Durante un pranzo nel terrazzo panoramico tra le alte cime dei monti, una slavina rischia di travolgere tutti. Ebba rimane a proteggere i figli, Tomas fugge terrorizzato, dimenticando istintivamente il ruolo di capofamiglia. Una fuga improvvisa che infrange ogni codice, scatena un dramma e ogni membro si ribella con modalità diverse.
Ostlung è al suo terzo lungometraggio ma si rivela un grande narratore ed è sempre ben chiara la sua necessità di intraprendere un contatto con lo spettatore che lo interpella. E’ minuzioso, tratteggia con intelligenza l’abbandono, le difficoltà taciute e inespresse, l’inquietudine e il disorientamento di Ebba quando si trova ad intraprendere, ormai raggomitolata nella solitudine, un suo percorso, vivendo irrimediabilmente sospesa tra la sua condizione di madre dedita ai figli e la scoperta della viltà di quel marito tanto aitante quanto vigliacco, ora messo al centro di un’attenzione quasi processuale. Nonostante l’uomo cerchi di minimizzare, la forza centripeta dell’analisi ossessiva di sua moglie lo trascinerà nella disperazione, coinvolgendo in questo vortice anche gli amici.
Le atmosfere si caricano di tensione insieme al concatenarsi degli eventi, i grandi spazi si fanno plastici, risultando opprimenti e alienanti, i lunghi corridoi, luogo di incontro e scontro tra Ebba e Tomas sono ripresi dal piano superiore (ove un misterioso uomo osserva il disgregarsi silenzioso del nucleo familiare). Ma dopo il crollo emozionale di Tomas, la famiglia si ricompone tra le nebbie della montagna e della sconfinata natura. Ostlung non fa sconti e ci offre nitido ritratto della solitudine contemporanea.
Paola Olivieri